Limiti e natura del patologico in condotte e crimini
GIOVANNA REZZONI
NOTE E NOTIZIE - Anno XVII – 19 dicembre 2020.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia).
Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società,
la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici
selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste
e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: DISCUSSIONE]
Hanno dichiarato di non aver mai visto nulla di simile in trent’anni i
medici del pronto soccorso che hanno prestato le prime cure alla diciottenne
violentata, seviziata e malmenata il 10 ottobre scorso con crudeltà bestiale da
Alberto Genovese, un cocainomane che lavora come imprenditore, altri loschi
individui e la fidanzata stessa del Genovese[1], nel corso di un festino trasformato
in un sabba diabolico per il piacere di infliggere dolore e trattare una
persona come un oggetto da distruggere. I responsabili del crimine, oltre ad
essere tutti sotto l’effetto della cocaina, hanno impiegato la ketamina, da questa
gente definita “droga dello stupro”, perché a questo scopo i criminali
adoperano il farmaco derivato dalla fenciclidina, che in realtà è un anestetico
generale che induce uno stato simil-onirico caratterizzato da profonda
analgesia e amnesia dissociativa (anestesia dissociativa)[2].
Questo episodio, insieme con tutti gli altri che assurgono all’onore della
cronaca per retate della polizia, arresti eccellenti o coinvolgimento di
personaggi di rilievo pubblico, rappresenta la punta emergente di un iceberg costituito
da aggregazioni stabili e in parte occasionali di intere masse della nostra
società che, spesso negandolo, idolatrano il divertimento, che concepiscono in
forme che vanno dal rave party alle messe nere, dai raduni via web di
migliaia di studenti che cercano lo sballo e il “sesso a pagamento” fra coetanei
agli incontri sado-maso collettivi organizzati da agenzie clandestine, dagli
addii al celibato con prostitute che violentano e si lasciano violentare a quel
coacervo di reati contro la persona che sono le esperienze di “sesso estremo”, dalle
feste nelle ville dei ricchi con droghe e alcool che finiscono in orge alle
squallide ammucchiate della gente che orbita intorno alla criminalità
organizzata, dal “sesso di gruppo” in locali dedicati a gay, lesbiche e
transgender alle adunate di coprofili, pedofili, gerontofili, necrofili, ecc.
Le persone che partecipano, organizzano e in ogni modo sono dedite a questo
genere di esperienze e condotte, sono descritte da chi le incontra al di fuori
di tali circostanze nella vita lavorativa, nel fare la spesa o nei contesti
tipici dei vicini di casa, come perfettamente normali e, in molti casi, le considera
socievoli e simpatiche. L’osservatore, impersonato spesso dal giornalista, quando
queste persone compiono reati odiosi o crimini gravi chiede allora allo
psichiatra quale sia il limite fra normale e patologico, dando per
implicito che la persona sana di mente non possa compiere tali orrori o
turpitudini e che vi sia un limite quantitativo oltre il quale “le droghe fanno
impazzire”.
È vero, in generale, come vedremo più avanti, che esistono disturbi psichiatrici
che determinano il compimento di alcuni tipi di reati ed è anche vero che le
alterazioni funzionali cerebrali indotte da dosi elevate o ripetute di varie sostanze
psicotrope di abuso[3] possono indurre o facilitare il
compimento di atti che, senza quelle alterazioni, molte persone non compirebbero[4].
Ma la questione è mal posta, perché le convinzioni che la sottendono sono sbagliate.
E vediamo perché.
Una concezione molto diffusa, che costituisce da sempre luogo comune,
considera l’eccesso sinonimo di patologico. Non è un criterio del
tutto erroneo; infatti, in medicina molti indici patologici si basano su misure
quantitative, basti pensare alla temperatura corporea. Ma, nel caso della
patologia psichica, il criterio non è applicabile, non solo perché nei pochi
casi in cui un sintomo è giudicato tale in base a frequenza o intensità il suo
valore si definisce solo nel rapporto di coesistenza con altre manifestazioni
cliniche, ma soprattutto perché la valutazione diagnostica consiste nell’accertamento
del particolare tipo di alterazione della funzione psichica che causa i sintomi.
Uno psicotico bipolare nella fase di eccitazione maniacale può avere dei
temibili acting out aggressivi e distruttivi; ma una persona sana di
mente in preda all’ira, soprattutto se non educata a contenerla, può
raggiungere dei livelli inauditi di violenza contro persone e oggetti,
superando di gran lunga quelli dello psicotico.
Dunque, esistono sindromi psicopatologiche che si manifestano con atti aggressivi,
violenti e distruttivi, ma è altrettanto vero che comportamenti simili si
possono avere in persone sane di mente o affette da disturbi diversi e non è
l’entità da sola del fenomeno comportamentale che definisce la qualità
patologica come causa.
Un ottimo imitatore e bravo attore può riprodurre alla perfezione l’atteggiamento
e il comportamento di una persona affetta da un disturbo mentale, senza esserne
affetto.
Salvador Dalì, che per costruire il suo personaggio di pittore surrealista fingeva
di essere un matto che credeva di essere Velázquez e lo imitava in tutto e per
tutto, diceva agli interlocutori: “La differenza fra me e un pazzo è che io non
sono pazzo”. In altri termini: la malattia mentale non è questione di esteriorità
e comportamento, che si possono facilmente simulare, ma riguarda la realtà
sostanziale dell’essere. Il modus operandi dello psichiatra non attiene
all’identificazione, in una gamma continua di comportamenti, del limite tra
normale e patologico, similmente alla distinzione giuridica fra lecito e
illecito, ma concerne l’uso informativo di espressioni e comportamenti in
funzione del ragionamento interpretativo su stato e profilo mentale di un
soggetto.
Questo concetto avvicina al criterio della diagnosi psichiatrica, che non è
definita ma orientata dalle manifestazioni cliniche, ossia segni e sintomi. Diagnosticare
vuol dire infatti “passare attraverso” (dia- dal gr.) quegli indici e
quelle forme, che al contempo celano e rivelano i processi che li hanno
prodotti, e giungere alla conoscenza (gnosi- dal gr.) della patologia,
identificandola.
Chiarito questo aspetto è più facile spiegare la differenza fra valutazione
psichiatrica e valutazione giuridica, costantemente sovrapposte e
spesso confuse nelle trasmissioni televisive che si occupano di fatti di natura
criminologica: i due approcci divergono per scopo, metodo e oggetto.
Una differenza cruciale consiste nel fatto che l’oggetto psichiatrico è
costituito dalla mente, quello giuridico dal comportamento.
Una valutazione psicopatologica analizza lo stile del funzionamento mentale
di un soggetto e lo compara a quello dei disturbi classificati in nosografia;
la valutazione giuridica di un fatto, ad esempio secondo il diritto penale,
considera gli atti materialmente compiuti – non può certo fare il processo alle
intenzioni – per verificare l’esistenza di un profilo di reato.
La psichiatria attribuisce un connotato identitario in base alla qualità
psichica: schizofrenico, depresso, bipolare, e così via; il diritto conferisce
una connotazione di identità in base a un comportamento: ladro, assassino,
truffatore, ecc. La diagnosi medica orienta la terapia e implica una prognosi;
il suo fine è la cura del paziente. La sentenza di condanna di un tribunale
definisce la pena da infliggere al cittadino che ha contravvenuto alle leggi;
il suo fine è l’affermazione del diritto a tutela della collettività.
Affrontiamo ora il problema della distanza fra linguaggio mediatico
derivato da concezioni popolari o sottoculturali e lessico della psichiatria.
Si sente ancora parlare di “esaurimento nervoso”: un’espressione popolare erronea,
priva di fondamento e basata su un’ipotesi avanzata nel 1930 da Cannon ma mai accettata dalla comunità scientifica: poiché
si era scoperta la possibile perdita quotidiana di elementi cellulari del
sistema nervoso centrale non in grado di rigenerarsi, il fisiologo americano
suppose che il patrimonio di neuroni potesse esaurirsi per effetto dello stress,
dando luogo a una sindrome impossibile da guarire, perché non c’è modo di
rimpiazzare i neuroni perduti del cervello.
In psichiatria, dalla fine dell’Ottocento, vigeva la distinzione fra nevrosi
e psicosi; le prime intese come sindromi reattive a stati di sofferenza di un
cervello sano, le seconde espressione di scompenso di un grave stato di
disfunzione endogena e corrispondenti alla vera e propria pazzia.
Si consideravano nevrosi asteniche (nevrastenia) le sindromi
caratterizzate dalla mancanza di forza psicofisica e stato di prostrazione, in
assenza di sintomi che le qualificassero come fobiche, isteriche o ossessive. Sono
nevrosi per Freud, che già ne riconosceva la componente depressiva,
mentre prima di lui, in Francia, Pierre Janet aveva coniato il termine di psicastenia.
In ogni caso, già a quei tempi si ritenevano guaribili e le prescrizioni
mediche, oltre ad estratti di corteccia surrenalica e ricche diete proteiche e
vitaminiche, consigliavano vacanze e svago. Lo stesso Cannon,
benemerito per la scoperta delle prime basi neurali della risposta allo stress,
non diede molto peso alla sua ipotesi, per cui non si sa per quale misteriosa
ragione in Italia, a quasi cento anni di distanza, si senta ancora parlare di “esaurimento
nervoso”, un’espressione che non è mai appartenuta alle diagnosi mediche. Non
si esaurisce nulla[5]: quello stato di sofferenza e
prostrazione è dovuto allo spreco diseconomico di energia causato dall’iperattivazione cronica per feedback patologici interni
dei sistemi neuronici mediatori della risposta allo stress.
Nel linguaggio di gergo popolare si definisce “isterica” una persona
irritabile, aggressiva, che urla e sbraita per un nonnulla, ma questo
significato non ha alcun rapporto con la categoria psicopatologica dell’isteria
che si riferiva a stati di eccessiva espressività somatica degli affetti, con
mimica del viso e del corpo recitativa, affettata, a volte teatrale e seduttiva,
ma raramente seducente, perché spesso grossolana, artificiosa e priva dei
connotati di intimità trasmessi dalle persone sane che vogliano attrarre dei
potenziali partner. Attualmente è abbandonata come diagnosi, perché si è
accertato che non costituisce un’entità nosografica a sé stante ma solo una
forma di rappresentazione particolare, e oggi rara per l’evoluzione culturale
della società, di un disagio riportabile ad altri disturbi[6].
La paranoia o psicosi paranoica, classificata da Kraepelin
come una psicosi indipendente e inclusa dagli anni Settanta nei manuali di
psichiatria italiani fra gli sviluppi di personalità, indica uno stato
delirante cronico in una persona che conserva un’apparente integrità della
coscienza con ordine logico, chiarezza di pensiero, efficienza cognitiva, volontà
progettuale ed esecutiva spesso superiore alla media. Un tempo era detta follia
ragionante. Il nucleo patologico sembra essere rappresentato dall’intima
convinzione di superiorità che può rimanere a lungo circoscritta, come nel caso
del Presidente Schreber[7] analizzato da Freud. A volte evolve
progressivamente, alterando la coscienza di identità fino a presentarsi col
delirio di essere una reincarnazione divina o di celebri personaggi del
passato. Il paranoico può diventare capo di stato, monarca assoluto o
dittatore: gli psichiatri europei e americani concordavano nel ritenere
paranoico l’Ayatollah Khomeini, guida suprema dell’Iran (1979-1989). Il quadro
clinico include a volte deliri di riferimento, ossia la convinzione
infondata di azioni di altri a proprio danno come persecuzioni, tradimenti,
cospirazioni e odio celato, che la psicoanalisi riconduceva al meccanismo
psicologico della proiezione, consistente nell’attribuzione automatica e
involontaria ad altri di proprie pulsioni ostili inconsce. Si teneva distinta la
paranoia dalla schizofrenia paranoide, in cui idee e deliri di riferimento
compaiono in una personalità disorganizzata, con grave compromissione della
cognizione e dell’affettività[8].
Nel gergo dei tossicodipendenti americani di varie regioni dell’entroterra appartenente
a stati meno sviluppati culturalmente degli USA, poi diffusosi in California e
da lì, attraverso il lessico cinematografico in tutto il mondo[9], si era affermato l’uso del termine
paranoia per indicare l’insorgere di idee o deliri di riferimento dopo
aver assunto LSD, peyotl, mescal e altre sostanze dislettiche o “allucinogene”. L’errore di scambiare un
sintomo non patognomonico di una malattia, la paranoia, per la malattia
stessa, si è poi consolidato nell’ignoranza generale ed è rimasto nel
linguaggio gergale delle generazioni successive, e oggi questo uso erroneo
della parola “paranoia”, quando la categoria diagnostica è stata ormai
accantonata, è ancora estremamente diffuso[10].
Ma veniamo agli errori semantici del gergo comune in relazione a disturbi
psichici particolarmente importanti per il tentativo di riconoscere la
peculiarità patologica e distinguerla da comportamenti normali o criminali di
persone sane di mente, o comunque non affette da questo tipo di disturbi.
Tutte le sindromi di questo genere erano incluse, nella semeiotica
psichiatrica insegnata fino agli anni Novanta in Francia, Germania e Italia, fra
le psicopatie, intese come disturbi delle personalità psicopatiche.
Anche se questa categoria diagnostica è stata contestata e abbandonata da molte
scuole di psichiatria e non figura nel DSM-5[11], la sua esistenza è stata provata
mediante studi MRI, che hanno rilevato ipotrofia o atrofia delle stesse aree
cerebrali[12] nei pazienti diagnosticati di
psicopatia secondo i criteri della diagnosi classica[13].
Nell’ambito degli psicopatici la scuola francese distingueva i pervertiti
secondo un criterio psicologico: “La condotta pervertita si distingue dalla
psicopatica per un eccellente adattamento alla realtà. Il pervertito anzi
appare come «super adattato» alle condizioni sociali”[14]. Prima di caratterizzare i tipi in base
alle particolari condotte si precisa che i «veri psicopatici» compiono quegli
atti per effetto di spinte pulsionali e del rinforzo determinato dal piacere
che provano. Nelle teorie del passato volte a spiegare l’origine, che forse in
realtà è da attribuirsi principalmente ad anomalie cerebrali congenite, si
consideravano le pulsioni anomale di queste persone più che una devianza[15] non bene definita, la conseguenza
di una maturazione deficitaria e incompiuta, e Freud elaborò il concetto di pulsioni
parziali all’origine delle perversioni.
Il voyeurismo o scoptofilia o scopofilia
consiste in un’alterazione della funzione psicosessuale caratterizzata dal provare
eccitazione erotica pressoché esclusivamente dall’osservazione passiva dei
rapporti sessuali altrui e non dal ruolo fisiologico attivo connesso con
l’atto riproduttivo naturale. Il voyeur non è un uomo che guarda con ammirazione
o desiderio una donna o, viceversa, una donna che desidera un uomo, ma una
persona che sente una tensione mentale che non riesce a incanalare in maniera
naturale nel desiderio erotico, e scopre che può godere passivamente nell’assistere
all’accoppiamento e, per provare a raggiungere l’acme, si masturba. In alcuni
manuali si legge che l’atto voyeuristico può interpretarsi come l’equivalente
passivo di “un’aggressione indiretta e cinica”[16], soprattutto perché esiste una
casistica criminologica di un certo numero di soggetti affetti da questo
disturbo che compie o partecipa al compimento di atti aggressivi e talora
omicidi delle coppie che ha spiato durante i rapporti sessuali, talvolta
infierendo sui genitali delle vittime o sezionandoli.
L’esatto significato del termine voyeur in psichiatria è importante
da conoscersi, e la condanna dell’uso erroneo e fuorviante del vocabolo che si
è diffusa in forma scritta e parlata, non è una semplice pignoleria linguistica,
ma la denuncia della virtuale eliminazione di una realtà: se si assimila l’uso
della percezione visiva per guardare e ammirare la bellezza a quanto si è
appena descritto, si nega l’esistenza di un problema che, invece, può essere
affrontato in chiave terapeutica.
Allo stesso modo, il sadismo e il masochismo, in senso
proprio, sono disturbi caratterizzati dall’intenso piacere provato, con vera
connotazione erotica, rispettivamente, nell’infliggere sofferenza o nel
subirla. Le persone affette da queste “psicopatie sessuali” non hanno una sessualità
fisiologica sotto molti aspetti. La criminologia ha scoperto fra i sadici molti
stupratori. La cosiddetta “industria del sesso”, ossia l’apparato commerciale
che fattura miliardi in tutto il mondo, sfruttando le pratiche sessuali che si
compiono al di fuori della fisiologia degli atti riproduttivi naturali, propaganda
il sado-maso come uno “stile sessuale” o un “gioco per raffinati”, ma è molto
difficile convincere una persona che vive una sana sessualità a travestirsi in
quel modo e compiere quegli strani artifici, perché sa che non ne trarrebbe
piacere. Al contrario, questa espressione commerciale di degrado ha facilitato,
nelle persone affette da questi disturbi allo stato latente, lo sviluppo e l’amplificazione,
attraverso queste pratiche, di comportamenti che espongono a gravi rischi la
vita propria o quella degli altri. La criminologia ha riconosciuto fra le
vittime di giochi erotici persone a tendenza masochistica, che si sono prestate
a pratiche contrarie al buon senso, al buon gusto e allo spirito di
conservazione, solo per provare piacere, ma alla fine sono rimaste uccise.
Il piromane non è un incendiario, uno che magari appicca il fuoco su
commissione per causare distruzione di un’area boschiva e trasformarla in
terreno edificabile, come sentiamo da decenni nei notiziari televisivi, ma una
persona che soffre di un disturbo che genera piacere alla vista del fuoco e la
rende insensibile al dispiacere della distruzione. Così come il ladro non è un cleptomane,
e nessuna persona affetta realmente da cleptomania, ossia da un disturbo che
induce all’appropriazione impulsiva di qualcosa associata al piacere del
possesso temporaneo[17], può considerarsi ladra, allo stesso
modo i responsabili di incendi dolosi non sono piromani, fino a prova del
contrario.
Queste definizioni e precisazioni sull’esatto significato di alcuni termini,
spesso usati a sproposito e resi perciò inutili per la comprensione dei fatti,
e sul modo corretto di definire aspetti conosciuti della realtà
psicopatologica, possono aiutare il lettore a ridefinire il problema introdotto
all’inizio dello scritto e a comprendere la prospettiva psichiatrica. Le poche
nozioni proposte sono sufficienti per comprendere che la distinzione
diagnostica fra fisiologia e patologia psichica rappresentano un problema da
risolvere a monte, studiando accuratamente ogni singola persona e non cercando
un fantomatico limite nel contesto di un comportamento collettivo.
La questione, piaccia o no, è morale, e concerne la consapevolezza di sé
stessi e la responsabilità degli altri: il limite del buon senso, della civiltà,
della prudenza e del rispetto dell’integrità fisica dell’altro lo si è superato
già prima, quando si è concepito per divertimento l’uso di sostanze tossiche
per il cervello e in grado di distruggere quanto di umano può esprimere una
persona; quando si è concepito il piano criminale di anestetizzare una vittima
ignara per poterla brutalizzare e torturare per divertimento, si è superato limite
fra l’umano e il bestiale.
L’autrice della
nota ringrazia il professore Giuseppe Perrella che ha
contribuito alla stesura del testo e invita alla
lettura delle recensioni di
argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare
il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanna Rezzoni
BM&L-19 dicembre 2020
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La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International
Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze,
Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come
organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Alberto Genovese è stato condotto
al carcere di San Vittore con gravissime accuse; si indaga sulle altre persone
che hanno partecipato al crimine e verosimilmente sono state complici abituali di
stupri e violenze in “droga-party” organizzati dall’imprenditore, fondatore di Facile.it.
In particolare, si indaga sulla fidanzata che Alba Parietti, in quanto amica
della madre, in una trasmissione televisiva ha dichiarato di conoscere fin dall’infanzia
e, pur condannandola per ciò che ha commesso, l’ha descritta in maniera
positiva come frequentatrice dei suoi stessi ambienti sociali.
[2] La ketamina è l’unico anestetico generale che causa stimolazione
cardiovascolare con aumento di frequenza e gittata cardiaca, della pressione
arteriosa e del flusso ematico cerebrale; naturalmente, anche l’anestetico
ketamina come lo stimolante psicomotorio cocaina, farmacologicamente all’estremo
opposto, può causare la morte per una dose elevata.
[3] Tra queste, alcune molecole sono
state classificate in psiconeurofarmacologia tra gli psicosomimetici,
ossia molecole in grado di determinare alla prima assunzione un quadro simile a
quello di una psicosi acuta.
[4] Tuttavia, non è irrilevante notare
che in rapporti militari di guerra e di servizi di sicurezza di vari stati
nazionali si legge di persone che, sottoposte all’effetto delle sostanze psicotrope
più disparate, a dosaggi che in alcuni casi le hanno portate in coma, sono
rimaste fedeli ai propri principi, coerenti con le proprie convinzioni morali e
legate al compito di servizio. Alcuni, sotto l’effetto del pentothal (volgarmente
detto “siero della verità”), fingevano di svenire e cercavano di dormire per
non rischiare la perdita di controllo; altri, sotto l’effetto di cocktail
eccitanti che dovevano indurli a commettere omicidi, si sottraevano al
controllo ed esercitavano atti di coercizione su sé stessi (andavano a letto
legandosi per una caviglia) prima della completa espressione dell’effetto delle
sostanze.
[5] La drastica e progressiva
riduzione del patrimonio neuronico cerebrale si verifica nelle malattie
neurodegenerative come l’Alzheimer, e causa una drammatica perdita di facoltà cognitive
che esita nella demenza.
[6] Fino a qualche decennio fa era
contemplata la diagnosi di nevrosi isterica con distinzione in due forme
principali, ossia quella di conversione e quella dissociativa.
Nella prima prevaleva il sintomo-simbolo che rappresentava nel corpo il
significato del conflitto emergente dall’inconscio (ad es. una paralisi
isterica, una gravidanza isterica, ecc.), nella seconda prevaleva l’amnesia,
detta amnesia dissociativa, per tutto ciò che entrava in contrasto con
la concezione cosciente della realtà. L’isteria di conversione era detta
così sulla base della teoria freudiana che supponeva la trasformazione (“conversione”,
appunto) dell’energia libidica nell’energia somatica che causa il sintomo, come
ad esempio la perdita temporanea di funzione motoria senza alcun danno
neurologico nella paralisi isterica.
[7] Daniel Paul Schreber, stimato
presidente della Corte d’Appello di Dresda, ricoverato nel 1893 a 51 anni per
una grave crisi psichica, scrisse una memoria autobiografica che fu poi
analizzata da Freud nel 1910.
[8] I pazienti paranoidi apparivano
clinicamente più vicini agli schizofrenici ebefrenici che agli schizofrenici
simplex, proprio per la gravità del deficit di coscienza e capacità di
elaborazione cognitiva della realtà. Come è noto, queste sotto-categorie
diagnostiche della schizofrenia sono state abbandonate.
[9] Clint Eastwood nel film In the
Line of Fire, per chiedere se è una propria suggestione
o l’interlocutore lo sta bersagliando, dice: “Am
I a paranoic or are you busting my balls?”.
[10] Con la sgradevole degenerazione dialettale
dell’avere le paranoie per indicare la preoccupazione per cose
inesistenti.
[11] Ormai l’ultima edizione del Diagnostic and Statistic
Manual (DSM) dell’American Psychiatric
Association non fa più testo, perché ha rinunciato per molte categorie
diagnostiche all’impiego di criteri psichiatrici e classifica fra i disturbi
categorie sociologiche quali il “basso stipendio” e il “vivere da soli”. La
categoria dei “sociopatici” si basa su criteri comportamentali a metà strada
fra il penalistico e il sociologico.
[12] Il principale reperto è l’ipo-evoluzione del sistema paralimbico.
[13] Su questo argomento rinvio al
mio saggio dal titolo: “Basi cerebrali della psicopatia, un disturbo
ignorato dal DSM”, pubblicato settimanalmente su questo sito nelle “Note
e Notizie” in sette parti a partire dal 30-10-2010 (prima parte) all’11-12-2010
(settima ed ultima parte).
[14]
Henri Ey, P. Bernard, Ch. Brisset,
Manuale di Psichiatria, p. 393, Masson Italia Editori, Milano 1983.
[15] Il concetto era stato elaborato
in base alla deviazione della spinta pulsionale dall’oggetto naturale
del desiderio ad uno diverso
[16] Henri Ey, et al., op. cit., p. 393.
[17] La mia limitata esperienza in
questo campo è relativa a due pazienti che rubavano oggetti sotto gli occhi dei
proprietari e, sebbene resistessero alle richieste di restituzione, quasi
invariabilmente abbandonavano la refurtiva dopo un poco, consentendone il
recupero. Anche la persona più sprovveduta e lontana dal sapere psicologico e
psichiatrico si rendeva conto di trovarsi di fronte a persone affette da un
problema mentale.