Limiti e natura del patologico in condotte e crimini

 

 

GIOVANNA REZZONI

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XVII – 19 dicembre 2020.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: DISCUSSIONE]

 

Hanno dichiarato di non aver mai visto nulla di simile in trent’anni i medici del pronto soccorso che hanno prestato le prime cure alla diciottenne violentata, seviziata e malmenata il 10 ottobre scorso con crudeltà bestiale da Alberto Genovese, un cocainomane che lavora come imprenditore, altri loschi individui e la fidanzata stessa del Genovese[1], nel corso di un festino trasformato in un sabba diabolico per il piacere di infliggere dolore e trattare una persona come un oggetto da distruggere. I responsabili del crimine, oltre ad essere tutti sotto l’effetto della cocaina, hanno impiegato la ketamina, da questa gente definita “droga dello stupro”, perché a questo scopo i criminali adoperano il farmaco derivato dalla fenciclidina, che in realtà è un anestetico generale che induce uno stato simil-onirico caratterizzato da profonda analgesia e amnesia dissociativa (anestesia dissociativa)[2].

Questo episodio, insieme con tutti gli altri che assurgono all’onore della cronaca per retate della polizia, arresti eccellenti o coinvolgimento di personaggi di rilievo pubblico, rappresenta la punta emergente di un iceberg costituito da aggregazioni stabili e in parte occasionali di intere masse della nostra società che, spesso negandolo, idolatrano il divertimento, che concepiscono in forme che vanno dal rave party alle messe nere, dai raduni via web di migliaia di studenti che cercano lo sballo e il “sesso a pagamento” fra coetanei agli incontri sado-maso collettivi organizzati da agenzie clandestine, dagli addii al celibato con prostitute che violentano e si lasciano violentare a quel coacervo di reati contro la persona che sono le esperienze di “sesso estremo”, dalle feste nelle ville dei ricchi con droghe e alcool che finiscono in orge alle squallide ammucchiate della gente che orbita intorno alla criminalità organizzata, dal “sesso di gruppo” in locali dedicati a gay, lesbiche e transgender alle adunate di coprofili, pedofili, gerontofili, necrofili, ecc.

Le persone che partecipano, organizzano e in ogni modo sono dedite a questo genere di esperienze e condotte, sono descritte da chi le incontra al di fuori di tali circostanze nella vita lavorativa, nel fare la spesa o nei contesti tipici dei vicini di casa, come perfettamente normali e, in molti casi, le considera socievoli e simpatiche. L’osservatore, impersonato spesso dal giornalista, quando queste persone compiono reati odiosi o crimini gravi chiede allora allo psichiatra quale sia il limite fra normale e patologico, dando per implicito che la persona sana di mente non possa compiere tali orrori o turpitudini e che vi sia un limite quantitativo oltre il quale “le droghe fanno impazzire”.

È vero, in generale, come vedremo più avanti, che esistono disturbi psichiatrici che determinano il compimento di alcuni tipi di reati ed è anche vero che le alterazioni funzionali cerebrali indotte da dosi elevate o ripetute di varie sostanze psicotrope di abuso[3] possono indurre o facilitare il compimento di atti che, senza quelle alterazioni, molte persone non compirebbero[4].

Ma la questione è mal posta, perché le convinzioni che la sottendono sono sbagliate. E vediamo perché.

Una concezione molto diffusa, che costituisce da sempre luogo comune, considera l’eccesso sinonimo di patologico. Non è un criterio del tutto erroneo; infatti, in medicina molti indici patologici si basano su misure quantitative, basti pensare alla temperatura corporea. Ma, nel caso della patologia psichica, il criterio non è applicabile, non solo perché nei pochi casi in cui un sintomo è giudicato tale in base a frequenza o intensità il suo valore si definisce solo nel rapporto di coesistenza con altre manifestazioni cliniche, ma soprattutto perché la valutazione diagnostica consiste nell’accertamento del particolare tipo di alterazione della funzione psichica che causa i sintomi. Uno psicotico bipolare nella fase di eccitazione maniacale può avere dei temibili acting out aggressivi e distruttivi; ma una persona sana di mente in preda all’ira, soprattutto se non educata a contenerla, può raggiungere dei livelli inauditi di violenza contro persone e oggetti, superando di gran lunga quelli dello psicotico.

Dunque, esistono sindromi psicopatologiche che si manifestano con atti aggressivi, violenti e distruttivi, ma è altrettanto vero che comportamenti simili si possono avere in persone sane di mente o affette da disturbi diversi e non è l’entità da sola del fenomeno comportamentale che definisce la qualità patologica come causa.

Un ottimo imitatore e bravo attore può riprodurre alla perfezione l’atteggiamento e il comportamento di una persona affetta da un disturbo mentale, senza esserne affetto.

Salvador Dalì, che per costruire il suo personaggio di pittore surrealista fingeva di essere un matto che credeva di essere Velázquez e lo imitava in tutto e per tutto, diceva agli interlocutori: “La differenza fra me e un pazzo è che io non sono pazzo”. In altri termini: la malattia mentale non è questione di esteriorità e comportamento, che si possono facilmente simulare, ma riguarda la realtà sostanziale dell’essere. Il modus operandi dello psichiatra non attiene all’identificazione, in una gamma continua di comportamenti, del limite tra normale e patologico, similmente alla distinzione giuridica fra lecito e illecito, ma concerne l’uso informativo di espressioni e comportamenti in funzione del ragionamento interpretativo su stato e profilo mentale di un soggetto.

Questo concetto avvicina al criterio della diagnosi psichiatrica, che non è definita ma orientata dalle manifestazioni cliniche, ossia segni e sintomi. Diagnosticare vuol dire infatti “passare attraverso” (dia- dal gr.) quegli indici e quelle forme, che al contempo celano e rivelano i processi che li hanno prodotti, e giungere alla conoscenza (gnosi- dal gr.) della patologia, identificandola.

Chiarito questo aspetto è più facile spiegare la differenza fra valutazione psichiatrica e valutazione giuridica, costantemente sovrapposte e spesso confuse nelle trasmissioni televisive che si occupano di fatti di natura criminologica: i due approcci divergono per scopo, metodo e oggetto. Una differenza cruciale consiste nel fatto che l’oggetto psichiatrico è costituito dalla mente, quello giuridico dal comportamento.

Una valutazione psicopatologica analizza lo stile del funzionamento mentale di un soggetto e lo compara a quello dei disturbi classificati in nosografia; la valutazione giuridica di un fatto, ad esempio secondo il diritto penale, considera gli atti materialmente compiuti – non può certo fare il processo alle intenzioni – per verificare l’esistenza di un profilo di reato.

La psichiatria attribuisce un connotato identitario in base alla qualità psichica: schizofrenico, depresso, bipolare, e così via; il diritto conferisce una connotazione di identità in base a un comportamento: ladro, assassino, truffatore, ecc. La diagnosi medica orienta la terapia e implica una prognosi; il suo fine è la cura del paziente. La sentenza di condanna di un tribunale definisce la pena da infliggere al cittadino che ha contravvenuto alle leggi; il suo fine è l’affermazione del diritto a tutela della collettività.

Affrontiamo ora il problema della distanza fra linguaggio mediatico derivato da concezioni popolari o sottoculturali e lessico della psichiatria.

Si sente ancora parlare di “esaurimento nervoso”: un’espressione popolare erronea, priva di fondamento e basata su un’ipotesi avanzata nel 1930 da Cannon ma mai accettata dalla comunità scientifica: poiché si era scoperta la possibile perdita quotidiana di elementi cellulari del sistema nervoso centrale non in grado di rigenerarsi, il fisiologo americano suppose che il patrimonio di neuroni potesse esaurirsi per effetto dello stress, dando luogo a una sindrome impossibile da guarire, perché non c’è modo di rimpiazzare i neuroni perduti del cervello.

In psichiatria, dalla fine dell’Ottocento, vigeva la distinzione fra nevrosi e psicosi; le prime intese come sindromi reattive a stati di sofferenza di un cervello sano, le seconde espressione di scompenso di un grave stato di disfunzione endogena e corrispondenti alla vera e propria pazzia.

Si consideravano nevrosi asteniche (nevrastenia) le sindromi caratterizzate dalla mancanza di forza psicofisica e stato di prostrazione, in assenza di sintomi che le qualificassero come fobiche, isteriche o ossessive. Sono nevrosi per Freud, che già ne riconosceva la componente depressiva, mentre prima di lui, in Francia, Pierre Janet aveva coniato il termine di psicastenia. In ogni caso, già a quei tempi si ritenevano guaribili e le prescrizioni mediche, oltre ad estratti di corteccia surrenalica e ricche diete proteiche e vitaminiche, consigliavano vacanze e svago. Lo stesso Cannon, benemerito per la scoperta delle prime basi neurali della risposta allo stress, non diede molto peso alla sua ipotesi, per cui non si sa per quale misteriosa ragione in Italia, a quasi cento anni di distanza, si senta ancora parlare di “esaurimento nervoso”, un’espressione che non è mai appartenuta alle diagnosi mediche. Non si esaurisce nulla[5]: quello stato di sofferenza e prostrazione è dovuto allo spreco diseconomico di energia causato dall’iperattivazione cronica per feedback patologici interni dei sistemi neuronici mediatori della risposta allo stress.

Nel linguaggio di gergo popolare si definisce “isterica” una persona irritabile, aggressiva, che urla e sbraita per un nonnulla, ma questo significato non ha alcun rapporto con la categoria psicopatologica dell’isteria che si riferiva a stati di eccessiva espressività somatica degli affetti, con mimica del viso e del corpo recitativa, affettata, a volte teatrale e seduttiva, ma raramente seducente, perché spesso grossolana, artificiosa e priva dei connotati di intimità trasmessi dalle persone sane che vogliano attrarre dei potenziali partner. Attualmente è abbandonata come diagnosi, perché si è accertato che non costituisce un’entità nosografica a sé stante ma solo una forma di rappresentazione particolare, e oggi rara per l’evoluzione culturale della società, di un disagio riportabile ad altri disturbi[6].

La paranoia o psicosi paranoica, classificata da Kraepelin come una psicosi indipendente e inclusa dagli anni Settanta nei manuali di psichiatria italiani fra gli sviluppi di personalità, indica uno stato delirante cronico in una persona che conserva un’apparente integrità della coscienza con ordine logico, chiarezza di pensiero, efficienza cognitiva, volontà progettuale ed esecutiva spesso superiore alla media. Un tempo era detta follia ragionante. Il nucleo patologico sembra essere rappresentato dall’intima convinzione di superiorità che può rimanere a lungo circoscritta, come nel caso del Presidente Schreber[7] analizzato da Freud. A volte evolve progressivamente, alterando la coscienza di identità fino a presentarsi col delirio di essere una reincarnazione divina o di celebri personaggi del passato. Il paranoico può diventare capo di stato, monarca assoluto o dittatore: gli psichiatri europei e americani concordavano nel ritenere paranoico l’Ayatollah Khomeini, guida suprema dell’Iran (1979-1989). Il quadro clinico include a volte deliri di riferimento, ossia la convinzione infondata di azioni di altri a proprio danno come persecuzioni, tradimenti, cospirazioni e odio celato, che la psicoanalisi riconduceva al meccanismo psicologico della proiezione, consistente nell’attribuzione automatica e involontaria ad altri di proprie pulsioni ostili inconsce. Si teneva distinta la paranoia dalla schizofrenia paranoide, in cui idee e deliri di riferimento compaiono in una personalità disorganizzata, con grave compromissione della cognizione e dell’affettività[8].

Nel gergo dei tossicodipendenti americani di varie regioni dell’entroterra appartenente a stati meno sviluppati culturalmente degli USA, poi diffusosi in California e da lì, attraverso il lessico cinematografico in tutto il mondo[9], si era affermato l’uso del termine paranoia per indicare l’insorgere di idee o deliri di riferimento dopo aver assunto LSD, peyotl, mescal e altre sostanze dislettiche o “allucinogene”. L’errore di scambiare un sintomo non patognomonico di una malattia, la paranoia, per la malattia stessa, si è poi consolidato nell’ignoranza generale ed è rimasto nel linguaggio gergale delle generazioni successive, e oggi questo uso erroneo della parola “paranoia”, quando la categoria diagnostica è stata ormai accantonata, è ancora estremamente diffuso[10].

Ma veniamo agli errori semantici del gergo comune in relazione a disturbi psichici particolarmente importanti per il tentativo di riconoscere la peculiarità patologica e distinguerla da comportamenti normali o criminali di persone sane di mente, o comunque non affette da questo tipo di disturbi.

Tutte le sindromi di questo genere erano incluse, nella semeiotica psichiatrica insegnata fino agli anni Novanta in Francia, Germania e Italia, fra le psicopatie, intese come disturbi delle personalità psicopatiche. Anche se questa categoria diagnostica è stata contestata e abbandonata da molte scuole di psichiatria e non figura nel DSM-5[11], la sua esistenza è stata provata mediante studi MRI, che hanno rilevato ipotrofia o atrofia delle stesse aree cerebrali[12] nei pazienti diagnosticati di psicopatia secondo i criteri della diagnosi classica[13].

Nell’ambito degli psicopatici la scuola francese distingueva i pervertiti secondo un criterio psicologico: “La condotta pervertita si distingue dalla psicopatica per un eccellente adattamento alla realtà. Il pervertito anzi appare come «super adattato» alle condizioni sociali”[14]. Prima di caratterizzare i tipi in base alle particolari condotte si precisa che i «veri psicopatici» compiono quegli atti per effetto di spinte pulsionali e del rinforzo determinato dal piacere che provano. Nelle teorie del passato volte a spiegare l’origine, che forse in realtà è da attribuirsi principalmente ad anomalie cerebrali congenite, si consideravano le pulsioni anomale di queste persone più che una devianza[15] non bene definita, la conseguenza di una maturazione deficitaria e incompiuta, e Freud elaborò il concetto di pulsioni parziali all’origine delle perversioni.

Il voyeurismo o scoptofilia o scopofilia consiste in un’alterazione della funzione psicosessuale caratterizzata dal provare eccitazione erotica pressoché esclusivamente dall’osservazione passiva dei rapporti sessuali altrui e non dal ruolo fisiologico attivo connesso con l’atto riproduttivo naturale. Il voyeur non è un uomo che guarda con ammirazione o desiderio una donna o, viceversa, una donna che desidera un uomo, ma una persona che sente una tensione mentale che non riesce a incanalare in maniera naturale nel desiderio erotico, e scopre che può godere passivamente nell’assistere all’accoppiamento e, per provare a raggiungere l’acme, si masturba. In alcuni manuali si legge che l’atto voyeuristico può interpretarsi come l’equivalente passivo di “un’aggressione indiretta e cinica”[16], soprattutto perché esiste una casistica criminologica di un certo numero di soggetti affetti da questo disturbo che compie o partecipa al compimento di atti aggressivi e talora omicidi delle coppie che ha spiato durante i rapporti sessuali, talvolta infierendo sui genitali delle vittime o sezionandoli.

L’esatto significato del termine voyeur in psichiatria è importante da conoscersi, e la condanna dell’uso erroneo e fuorviante del vocabolo che si è diffusa in forma scritta e parlata, non è una semplice pignoleria linguistica, ma la denuncia della virtuale eliminazione di una realtà: se si assimila l’uso della percezione visiva per guardare e ammirare la bellezza a quanto si è appena descritto, si nega l’esistenza di un problema che, invece, può essere affrontato in chiave terapeutica.

Allo stesso modo, il sadismo e il masochismo, in senso proprio, sono disturbi caratterizzati dall’intenso piacere provato, con vera connotazione erotica, rispettivamente, nell’infliggere sofferenza o nel subirla. Le persone affette da queste “psicopatie sessuali” non hanno una sessualità fisiologica sotto molti aspetti. La criminologia ha scoperto fra i sadici molti stupratori. La cosiddetta “industria del sesso”, ossia l’apparato commerciale che fattura miliardi in tutto il mondo, sfruttando le pratiche sessuali che si compiono al di fuori della fisiologia degli atti riproduttivi naturali, propaganda il sado-maso come uno “stile sessuale” o un “gioco per raffinati”, ma è molto difficile convincere una persona che vive una sana sessualità a travestirsi in quel modo e compiere quegli strani artifici, perché sa che non ne trarrebbe piacere. Al contrario, questa espressione commerciale di degrado ha facilitato, nelle persone affette da questi disturbi allo stato latente, lo sviluppo e l’amplificazione, attraverso queste pratiche, di comportamenti che espongono a gravi rischi la vita propria o quella degli altri. La criminologia ha riconosciuto fra le vittime di giochi erotici persone a tendenza masochistica, che si sono prestate a pratiche contrarie al buon senso, al buon gusto e allo spirito di conservazione, solo per provare piacere, ma alla fine sono rimaste uccise.

Il piromane non è un incendiario, uno che magari appicca il fuoco su commissione per causare distruzione di un’area boschiva e trasformarla in terreno edificabile, come sentiamo da decenni nei notiziari televisivi, ma una persona che soffre di un disturbo che genera piacere alla vista del fuoco e la rende insensibile al dispiacere della distruzione. Così come il ladro non è un cleptomane, e nessuna persona affetta realmente da cleptomania, ossia da un disturbo che induce all’appropriazione impulsiva di qualcosa associata al piacere del possesso temporaneo[17], può considerarsi ladra, allo stesso modo i responsabili di incendi dolosi non sono piromani, fino a prova del contrario.

Queste definizioni e precisazioni sull’esatto significato di alcuni termini, spesso usati a sproposito e resi perciò inutili per la comprensione dei fatti, e sul modo corretto di definire aspetti conosciuti della realtà psicopatologica, possono aiutare il lettore a ridefinire il problema introdotto all’inizio dello scritto e a comprendere la prospettiva psichiatrica. Le poche nozioni proposte sono sufficienti per comprendere che la distinzione diagnostica fra fisiologia e patologia psichica rappresentano un problema da risolvere a monte, studiando accuratamente ogni singola persona e non cercando un fantomatico limite nel contesto di un comportamento collettivo.

La questione, piaccia o no, è morale, e concerne la consapevolezza di sé stessi e la responsabilità degli altri: il limite del buon senso, della civiltà, della prudenza e del rispetto dell’integrità fisica dell’altro lo si è superato già prima, quando si è concepito per divertimento l’uso di sostanze tossiche per il cervello e in grado di distruggere quanto di umano può esprimere una persona; quando si è concepito il piano criminale di anestetizzare una vittima ignara per poterla brutalizzare e torturare per divertimento, si è superato limite fra l’umano e il bestiale.

 

L’autrice della nota ringrazia il professore Giuseppe Perrella che ha contribuito alla stesura del testo e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanna Rezzoni

BM&L-19 dicembre 2020

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] Alberto Genovese è stato condotto al carcere di San Vittore con gravissime accuse; si indaga sulle altre persone che hanno partecipato al crimine e verosimilmente sono state complici abituali di stupri e violenze in “droga-party” organizzati dall’imprenditore, fondatore di Facile.it. In particolare, si indaga sulla fidanzata che Alba Parietti, in quanto amica della madre, in una trasmissione televisiva ha dichiarato di conoscere fin dall’infanzia e, pur condannandola per ciò che ha commesso, l’ha descritta in maniera positiva come frequentatrice dei suoi stessi ambienti sociali.

[2] La ketamina è l’unico anestetico generale che causa stimolazione cardiovascolare con aumento di frequenza e gittata cardiaca, della pressione arteriosa e del flusso ematico cerebrale; naturalmente, anche l’anestetico ketamina come lo stimolante psicomotorio cocaina, farmacologicamente all’estremo opposto, può causare la morte per una dose elevata.

[3] Tra queste, alcune molecole sono state classificate in psiconeurofarmacologia tra gli psicosomimetici, ossia molecole in grado di determinare alla prima assunzione un quadro simile a quello di una psicosi acuta.

[4] Tuttavia, non è irrilevante notare che in rapporti militari di guerra e di servizi di sicurezza di vari stati nazionali si legge di persone che, sottoposte all’effetto delle sostanze psicotrope più disparate, a dosaggi che in alcuni casi le hanno portate in coma, sono rimaste fedeli ai propri principi, coerenti con le proprie convinzioni morali e legate al compito di servizio. Alcuni, sotto l’effetto del pentothal (volgarmente detto “siero della verità”), fingevano di svenire e cercavano di dormire per non rischiare la perdita di controllo; altri, sotto l’effetto di cocktail eccitanti che dovevano indurli a commettere omicidi, si sottraevano al controllo ed esercitavano atti di coercizione su sé stessi (andavano a letto legandosi per una caviglia) prima della completa espressione dell’effetto delle sostanze.

[5] La drastica e progressiva riduzione del patrimonio neuronico cerebrale si verifica nelle malattie neurodegenerative come l’Alzheimer, e causa una drammatica perdita di facoltà cognitive che esita nella demenza.

[6] Fino a qualche decennio fa era contemplata la diagnosi di nevrosi isterica con distinzione in due forme principali, ossia quella di conversione e quella dissociativa. Nella prima prevaleva il sintomo-simbolo che rappresentava nel corpo il significato del conflitto emergente dall’inconscio (ad es. una paralisi isterica, una gravidanza isterica, ecc.), nella seconda prevaleva l’amnesia, detta amnesia dissociativa, per tutto ciò che entrava in contrasto con la concezione cosciente della realtà. L’isteria di conversione era detta così sulla base della teoria freudiana che supponeva la trasformazione (“conversione”, appunto) dell’energia libidica nell’energia somatica che causa il sintomo, come ad esempio la perdita temporanea di funzione motoria senza alcun danno neurologico nella paralisi isterica.

[7] Daniel Paul Schreber, stimato presidente della Corte d’Appello di Dresda, ricoverato nel 1893 a 51 anni per una grave crisi psichica, scrisse una memoria autobiografica che fu poi analizzata da Freud nel 1910.

[8] I pazienti paranoidi apparivano clinicamente più vicini agli schizofrenici ebefrenici che agli schizofrenici simplex, proprio per la gravità del deficit di coscienza e capacità di elaborazione cognitiva della realtà. Come è noto, queste sotto-categorie diagnostiche della schizofrenia sono state abbandonate.

[9] Clint Eastwood nel film In the Line of Fire, per chiedere se è una propria suggestione o l’interlocutore lo sta bersagliando, dice: “Am I a paranoic or are you busting my balls?”.

[10] Con la sgradevole degenerazione dialettale dell’avere le paranoie per indicare la preoccupazione per cose inesistenti.

[11] Ormai l’ultima edizione del Diagnostic and Statistic Manual (DSM) dell’American Psychiatric Association non fa più testo, perché ha rinunciato per molte categorie diagnostiche all’impiego di criteri psichiatrici e classifica fra i disturbi categorie sociologiche quali il “basso stipendio” e il “vivere da soli”. La categoria dei “sociopatici” si basa su criteri comportamentali a metà strada fra il penalistico e il sociologico.

[12] Il principale reperto è l’ipo-evoluzione del sistema paralimbico.

[13] Su questo argomento rinvio al mio saggio dal titolo: “Basi cerebrali della psicopatia, un disturbo ignorato dal DSM”, pubblicato settimanalmente su questo sito nelle “Note e Notizie” in sette parti a partire dal 30-10-2010 (prima parte) all’11-12-2010 (settima ed ultima parte).

[14] Henri Ey, P. Bernard, Ch. Brisset, Manuale di Psichiatria, p. 393, Masson Italia Editori, Milano 1983.

[15] Il concetto era stato elaborato in base alla deviazione della spinta pulsionale dall’oggetto naturale del desiderio ad uno diverso

[16] Henri Ey, et al., op. cit., p. 393.

[17] La mia limitata esperienza in questo campo è relativa a due pazienti che rubavano oggetti sotto gli occhi dei proprietari e, sebbene resistessero alle richieste di restituzione, quasi invariabilmente abbandonavano la refurtiva dopo un poco, consentendone il recupero. Anche la persona più sprovveduta e lontana dal sapere psicologico e psichiatrico si rendeva conto di trovarsi di fronte a persone affette da un problema mentale.